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Come le Dolomiti, ma senza seggiovie

I modelli a cui ci ispiriamo e le parole che usiamo dicono molto di noi.  Le parole formano un immaginario, un panorama mentale entro cui incasellare quel che vediamo. I modelli e gli immaginari invecchiano e diventano obsoleti mentre la realtà intorno a noi cambia e avanza, inesorabile. Così mi fa sempre ridere quando di fronte a un paesaggio di montagna da cartolina, la mente cerca il paragone con le Dolomiti. Un paesaggio dolomitico. Uno scenario dolomitico. In Presolana sembra di stare sulle Dolomiti. Presolana e Valle del Möschel da Baita Verzuda alta Sì, la Presolana è come le Dolomiti: ma senza seggiovie. Senza funivie arroccate sulle vette, senza strade meravigliose intasate di traffico, senza ristoranti stellati a 2000 metri dove mangiare ostriche e astice.  Grazie, va bene anche così.  Dal punto di vista dell’imprenditore vecchio stampo, le Orobie sono un evidente spreco. Su questi pendii solatii vede piste ovunque, il terreno è ideale. Già sento i commen...
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Estate 2022

Dunque è questo, il mondo che cambia?   L’inverno che non è mai arrivato, le piante assetate sotto il sole, l’attesa della pioggia come un miraggio lontano? E poi entrare al supermarket e accorgersi che le scelte giuste forse non sono più possibili, o non lo sono mai state. Ora esistono solo scelte fatali. Siamo in tanti, e ognuno vuol fare le stesse cose: una grigliata alla domenica e un tuffo nel lago o nel fiume o nel mare.   Una sciata su neve artificiale prodotta durante la notte con l’acqua del laghetto, che presto finirà. Al rifugio insalata e acqua in bottiglia. E stasera supermarket e pescheria: stasera si mangia e si beve. Ovunque la ressa si accalca. Ovunque si vogliono portare con sé le comodità di tutti i giorni. Ogni cosa è usa e getta. L’esperienza fine a se stessa non esiste più. Miliardi di foto e video di momenti effimeri intasano i nostri telefoni e riempiono al contempo server oltreoceano, e diventano qualcosa di fisico oltre i Giga e oltre iCloud, e i serv...

In fuga

Sopravvivere ad un bombardamento dev’essere così: fuggire a perdifiato lasciando tutto com’è. Dico dev’essere perché noi non lo sapremo mai: la nonna mi ha raccontato tante volte degli aerei che comparivano dalla collina di Montalcino, e delle corse verso il rifugio e del rombo assordante, così simile a un lunghissimo tuono. E di quando si usciva di nuovo alla luce del sole e alcune case non c’erano più, e alcuni sfortunati non avevano corso abbastanza velocemente. La morte era così vicina, così reale, che quasi smetteva di far paura. E così si andava avanti. Le macerie erano ovunque. Le macerie erano qualcosa a cui ci si abituava. La fuga, il nascondersi, le privazioni, erano qualcosa a cui ci abituava per forza; forza maggiore. Dopo la guerra, i nonni andarono in viaggio di nozze a Milano, dalla Toscana. Quante macerie lungo la strada! I piccoli centri nella campagna, le strade, i ponti; e poi il centro città, anch’esso martoriato: le macerie comparivano ovunque, persino i...

San Fermo, ovvero breve e fuggevole visione dell'inferno

Per chi la conosce, per chi la cerca, per chi sa che non si può sfuggirle, la fatica ha un nome: Colli di San Fermo. Non si sale dal lago d'Iseo, il lago è un miraggio lontano, un premio per chi scollinerà dopo 10 km di salita vera. A Grone i cartelli non li mettono a caso, e se dicono 17%, se dicono 18%, se non segnalano alcun tornante, forse è il caso di abbassare la testa e prepararsi a guardare in terra per molti lunghissimi minuti. Ma #ilorddellacontessa conoscono bene questa salita, sulla prima serie di tornanti a fusillo hanno più volte intravisto santi e madonne, e hanno dovuto stringere i denti per sembrare ancora freschi, mentre molti colleghi ciclisti sfrecciavano in senso contrario sfoggiando mantelline e sorrisetti di circostanza della durata di un secondo, il tempo di essere risucchiati dalla discesa vertiginosa, lasciando al loro destino zigzagante e lentissimo chi ha deciso di affrontare questa strada dalla parte della salita. Anni fa ricordo che nel drittone ce...

Remembering Stilfserjoch

Lo Stelvio è uno dei miei luoghi preferiti. Uno dei luoghi in cui ho lasciato qualcosa di me, in epoche diverse della mia vita. Perciò mi piace sempre tornarci. Ho imparato presto ad amare queste montagne. All’inizio non sapevo neanche perché, e di cosa esattamente mi ero innamorata. Succedeva credo in settembre, in un periodo di struggente nostalgia per l’estate fuggita via in fretta e per la natura che mi circondava, la natura senza richieste e senza pretese, che bastava a se stessa, in cui avrei voluto mescolarmi per essere invisibile. Non sapevo cosa fosse ad attirarmi così tanto: il cielo terso, l’odore di legna bruciata che preannuncia l’arrivo dell’inverno, l’aria frizzante e i colori, nitidi e chiari alla luce del sole d’autunno: tutto, tutto intorno a me era puro struggimento, una ricerca inesausta, una nostalgia per qualcosa di indefinito e indecifrabile. Salivamo con il pulmino dello sci club e ancora queste curve non avevano il senso che hanno oggi: le pendenze,...

Senza uscita. Colle del Nivolet

Quasi in cima, guardando giù. Questa strada non porta da nessuna parte. Si sono dimenticati di finirla. L’asfalto si esaurisce in un ampio pianoro glaciale, poco oltre il confine con la Valle D’Aosta. Ma tutto questo lo vedremo solo tra alcune ore. La valle Orco è lunga, lunghissima e verde, quasi cupa nel sole basso del mattino. I paesi sono in pietra grigia, e ad ogni ponte, ringhiera, cancello, ci sono nastri e cartelli rosa per il passaggio del Giro di un paio di mesi fa. Ora sembra tutto lontano, passato, e non c’è anima viva. La strada è tortuosa e rattoppata alla meglio con badilate di asfalto nero che già sfonda e si prepara a sgretolarsi. Paesaggio, strada, paesi e scritte sull’asfalto sembrano promettere qualcosa di meglio, per chi avrà la pazienza di superare questo fondovalle dalle pendenze ancora dolci. A Noasca finalmente una serie di ripidi tornanti tagliagambe annuncia l’arrivo della salita. Ancora qualche rettilineo ed ecco una galleria, ampia, dall’aria rip...

Ritornare ai prati

C’è troppo bianco, qui, per i nostri occhi È troppo ampio l’orizzonte per uno sguardo civilizzato La nostra vita pazientemente costruita incontri e scontri compromessi e tabù aspettative, obiettivi insomma una decorosa vita civile non è pronta a simili scossoni Tornarvi sarà difficile La meraviglia non può lasciare indifferenti La grandezza degli spazi il loro essere fini a se stessi la loro sofferenza silenziosa, anno dopo anno ci attirano e ci chiamano a se come in una trappola Ci adattiamo alla vastità finché cominciano a infastidirci le presenze chiassose le comitive all’orizzonte C’è spazio per tutti, ma noi siamo sempre un po’ più in là Sembra di essere d’intralcio a se stessi Scorriamo sul mare dormiente chiedendoci cosa ci sia sotto immaginando mondi caverne buie Un brivido freddo come quando si nuota sul lago, fissandone l’oscurità opaca non sapendo se quel che c’è sotto potrà mai venire a reclamare vite, corpi e allungando una mano sfiorarci ...