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San Fermo, ovvero breve e fuggevole visione dell'inferno




Per chi la conosce, per chi la cerca, per chi sa che non si può sfuggirle, la fatica ha un nome: Colli di San Fermo.
Non si sale dal lago d'Iseo, il lago è un miraggio lontano, un premio per chi scollinerà dopo 10 km di salita vera. A Grone i cartelli non li mettono a caso, e se dicono 17%, se dicono 18%, se non segnalano alcun tornante, forse è il caso di abbassare la testa e prepararsi a guardare in terra per molti lunghissimi minuti.
Ma #ilorddellacontessa conoscono bene questa salita, sulla prima serie di tornanti a fusillo hanno più volte intravisto santi e madonne, e hanno dovuto stringere i denti per sembrare ancora freschi, mentre molti colleghi ciclisti sfrecciavano in senso contrario sfoggiando mantelline e sorrisetti di circostanza della durata di un secondo, il tempo di essere risucchiati dalla discesa vertiginosa, lasciando al loro destino zigzagante e lentissimo chi ha deciso di affrontare questa strada dalla parte della salita.
Anni fa ricordo che nel drittone centrale mi superò un'apecar col motore a mille, piena di nastri per un matrimonio, e in piedi dietro stavano due bambine vestite a festa, bianche, pulite e profumate: mi sorridevano e facevano ciao, e io avrei proprio voluto attaccarmi, scuotevo la testa e ridevo, e guardavo l'ape allontanarsi lenta e rombante fino a scomparire.





Oggi sulla salita non c'era quasi nessuno.
In cima, invece, il solito trionfo di gambette depilate, biciclettine lucide e scintillanti, calzettine sopra la caviglia che escono da elegantissime scarpette di vernice, e poi barrettine, enervit, aminoacidi, magnesio-potassio, cardio, rilevatore di cadenza, rilevatore di potenza, rilevatore di non si sa bene cosa (non ho proprio capito questa mania di rilevare). Ma tutta questa umanità ciclistica attenta ai dettagli e all'estetica, amante di rilevatori e barrette, spiace dirlo ma arriva tutta dall'altro versante. Qualche superstite, amante dell'ignoranza ciclistica lo si incontra ancora, per fortuna; ma sembra evidente che le pendenze sfiancanti non sono divertenti da rilevare, il cardio rischia l'esplosione, la paura di metter giù il piede (che sempre attanaglia ogni Lord) è sempre in agguato, e per di più con un paio di scarpette di vernice in tinta con le calze non si può proprio farsi sorprendere a bordo strada a camminare come fosse il primo giorno di bici.
Ma fa tutto parte del gioco.
Il 30 maggio 1983 si correva la 17^ tappa del Giro d'Italia con partenza a Bergamo: Saronni è in maglia rosa e Alberto Fernàndez Blanco va a vincere sul traguardo dei Colli di San Fermo. Ma mentre Alberto, negli ultimi facili tornanti da cui si scorge la pianura si invola verso la vittoria, nelle retrovie ci sono ancora tanti corridori che nemmeno sono usciti dal bosco: viaggiano lenti, intrappolati dall'asfalto e dai rapporti durissimi in voga negli anni '80, sorpresi dalla durezza di questa salita sconosciuta: chi poteva pensare che dietro al pacifico lago di Endine potesse nascondersi una cosa del genere? Ci sono corridori appoggiati al muro, corridori che se la fanno a piedi, corridori che implorano spinte.
Ma ognuno, alla fine, ne è uscito con le proprie gambe. Proprio come ogni Lord ha imparato a fare da quando il papà ha tolto le ruote dalla prima bicicletta lasciandoci traballanti e incerti ad affrontare l'ignoto. Senza cardio, senza barrette, senza rilevatori.


Back to the '80s.

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