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Chiudo gli occhi e vedo la neve: Mezzalama 2017

Formichine sul Castore


Da Cervinia a Gressoney ci sono 89 km in auto, ma se passi dal Monte Rosa con gli sci sono solo una quarantina.
Per cui la scelta è ovvia.
Il giorno atteso è arrivato: sveglia illegale alle 3.30, colazione, vestizione e preparazione di tutta la ferraglia che oggi ci tocca portare addosso, infine numero sulla gamba: c'è scritto XXI Trofeo Mezzalama, un nome che mi aveva sempre incuriosito fin da quando facevo discesa, e d'estate salivamo a Cervinia a sciare. Poi si è ripresentato quando ho iniziato ad andare con le pelli.
A volte hai dei sogni senza sapere di averli.
Il Mezzalama è uno di questi.
Negli anni '20, Ottorino Mezzalama sognava un itinerario per attraversare le Alpi interamente con gli sci. Era alto e slanciato, aveva lunghi baffetti neri, portava sempre un enorme zaino con dentro di tutto e sosteneva che gli sci sono meglio lunghi, ("almeno due metri") e che con una buona tecnica e buone scioline le pelli non servono.
Siccome lui non è riuscito a realizzare il suo sogno, si dà a noi la possibilità di realizzare il nostro: in un contesto ben diverso, con mezzi allora impensabili, ma sotto l'egida del suo nome.
E allora via.
I bersaglieri suonano, corrono spediti, e noi dietro, cercando di non perdere di vista le socie e non farsi calpestare dalle novecento persone che dietro di noi sgomitano.
Finalmente il campetto innevato, sci ai piedi e su dalla pista. A ovest del cielo ancora stellato compare e scompare il Cervino, illuminato dai fuochi che esplodono nel cielo. Così per molti minuti, poi, usciti dalle luci e dai rumori, rimaniamo soli col fruscio degli sci, così tanti tutti insieme nel chiarore azzurrino dell’alba.

A volte hai dei sogni ma fai finta di non averli, perché magari ti fanno un po’ paura.
A Plateau Rosa, il Cervino incendiato dal primo sole è solo un miraggio. Noi siamo intrappolati nell’ombra, e andiamo verso il freddo, con il vento laterale che ogni tanto sferza la faccia.
Arrivati sotto il Breithorn compare il sole, ma il vento è a raffiche, e in fondo al lungo traverso, l’enorme profilo del Castore si staglia ombroso e severo, interamente striato di ghiaccio grigioverde. Le persone che lo stanno salendo sono da qui puntini impercettibili.
Anche noi saremo tra poco delle formiche ridicole appese ai ramponi, in coda su una parete assurda, con la corda in mano e le mani fredde, fino ad arrivare, dopo un tempo infinito, al crepaccio sommitale dove una scaletta sul nulla porta direttamente in cresta.
Di là c’è un altro mondo, bianchissimo e accecante di sole. La cresta è affilata ma non troppo, sale, scende, risale, non finisce più.
Al Quintino Sella le mani si scongelano del tutto e il clima è mite. Togliamo gli strati termici. Mangio un’enorme manciata di nocciole che mi rimarrà in bocca mezzora. Ripartiamo su un altro traverso lunghissimo, costeggiando la seraccata paurosa che scende verso la Val d’Ayas. La socia Anna Moraschetti guida la pattuglia con passo da alpino, regolare e senza strappi, e con questa andatura superiamo varie squadre non troppo lucide. La traccia è in leggera salita, e dopo uno zigzag si allunga fino all’ennesima piazzola. Il Naso del Lyskamm pare più breve da salire ma la cosa si rivelerà lunga. La traccia di sinistra sale su ghiaccio quasi vivo e nessuno vuole passarci. Coda e intasamento. L’idea di salire su quella cosa verde e lucida non mi attrae, ma c’è una corda che mi lega a quelle davanti a me, quindi via sul ghiaccio attaccate alla corda fissa, stacca e attacca il moschettone, segui la socia Maddalena Mognetti a cui sono legata da una corda un po’ corta: piano, occhio, aspetta, ferma, vai, ferma ferma ferma ocio, ecc ecc.
Altro tempo indefinito tra colonne e gente ferma, finito il pezzo ghiacciato si cammina ancora fino a scollinare sulla cima.

Qualcuno mi aveva detto, quando da qui avessi visto il colle del Lys, di salutare una persona caduta lassù 38 anni fa, in maggio, lasciando orfano un bimbo di pochi mesi. Quel bambino, una volta cresciuto amò la montagna come il papà. E, molti anni dopo, mi avrebbe insegnato a muovere i primi passi con le pelli. Ma questa è un'altra storia.
Oggi il ghiacciaio del Lys appare bianco e lucente, non c’è traccia di tragedie, e noi con la corda in mano ci sentiamo protetti, come invincibili, anche se non è così; e la neve lontana è punteggiata di piccole sagome che scendono tranquille lungo il dolce pendio verso il Rif. Mantova, salvezza di giornata.
Altra manciata di frutta secca con bicchiere di tè e giù in discesa, attaccate ad un’altra corda con i piedi su altro ghiaccio.
La discesa a piedi è snervante rispetto a quella con gli sci, ma sentiamo il traguardo avvicinarsi, e al Mantova potremo finalmente slegarci dalla corda che ci tiene unite fin da sotto il Breithorn. La realtà sembra concretizzarsi, è vicina, dopo una discesa legate e perfettamente coordinate, ci sleghiamo e proseguiamo tra le gobbe in direzione Gressoney. La neve è marcia. Assaporo la nuova libertà lanciandomi dritta sulle stradine e cercando poi di non esplodere nella neve riportata. Arriviamo in una conca, stradina che sale. Tra le maledizioni togliamo gli sci, su a piedi, e poi di nuovo giù. Gli sci sono ora un mezzo di trasporto neutro, utile solo a perdere quota il più velocemente possibile. Le piste iniziano a presentare chiazze, si prosegue, poi panico: non c’è più nessuno in giro e nemmeno una bandierina, non avremo sbagliato strada? Proseguiamo, la neve finisce su un praticello ed ecco altri concorrenti. Corriamo? Anche no. Le gambe sembrano in sciopero. Il paese non si vede. Corricchiamo, camminiamo, tagliamo le curve. Sparuti tifosi nel bel mezzo di un picnic sui prati ci incitano. Odore di erba umida e di primavera, sensazione strana dopo il gelo dei quattromila. Non conoscendo la strada non ho idea di quanto manchi, ma dopo la corsa giù dal Pisgana le discese a piedi non le temiamo più. Voci, altoparlanti, una signora ci dice che manca un chilometro e un’altra due minuti, proseguiamo un po’ confuse e iniziamo a correre, case là in fondo, zig zag, altoparlante più forte e gente ai lati, ecco le bandiere e gli striscioni, e superata una strettoia il tappeto rosso su un bel prato verde conduce all’arrivo. L’arrivo del Trofeo Mezzalama. Senza neanche saperlo ho pensato molto a questo momento.

La vita ha mille sfide, molto più dure di questa, eppure a volte bisogna imporsi una prova per convincersi di essere forti e pronti per tutto il resto.
In questo senso, ognuno ha il suo personale Mezzalama.
Non so ancora quale sia il mio, forse lo capirò a breve, forse devo solo dormirci su. Ma nei lunghi traversi con gli sci, o fermi in fila sferzati dal vento, si ha molto tempo per pensare. Una giornata così sarà difficile da dimenticare, anche perché la vivi in tre.
Per cui care socie Anna e Maddalena, qualunque fosse per voi il sogno che stava dietro questa giornata, penso che abbiamo fatto un bel passo per raggiungerlo e portarlo a casa. Quindi GRAZIE!
E poi mi avevano detto che dopo Adamello Ski Raid, Parravicini e Mezzalama tutti in un mese, avrei buttato via gli sci.
Invece ho ancora più voglia di prima.
Ora che tutto è finito, ho un solo problema…chiudo gli occhi e vedo la neve.

Partenza.

Al canale del Theodulo.




All'arrivo.

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