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Il weekend più lungo del mondo (Parravicini col sole)





L’ingordigia è una brutta bestia, ma quando si tratta di montagna può essere scusata.
Venerdì, ritorno in Adamello dopo l’Adamello, con Anna e Irene. Vento, sole, niente più paline da seguire, niente più fatica cieca come in gara. Corno Bianco polveroso e bellissimo, risalita al Cannone e discesona in powder. Pernottamento al Rif. Lobbie con tramonto rosso fuoco.
Sabato, sveglia comoda e si va incontro ai tre puntini che si avvicinano giù al Mandrone. Appuntamento telefonico 9.30 in fondo alla vedretta. Ritorno al Corno Bianco, torta in vetta con Paolo Tomasoni ed Elia per il compleanno di Barone Rosso e altra sciatona. Rientro da Mandrone e Passo Presena con temperature tropicali, gelato a Edolo, casa. Tentativo di asciugatura scarpette e guanti. Roba da sci sparsa per casa. Delirio assoluto. Domani è una giornata importante.
Domenica 9 aprile 2017, eccolo: il Trofeo Parravicini col sole. Un miraggio atteso cinque anni. Dopo quattro edizioni sotto il diluvio, la mia costanza è stata premiata. La neve non è mai stata così bella. Temperatura gradevole. Cielo blu. Per quattro edizioni, alcune ridotte, altre quasi intere, la sensazione era di andare su e giù nel nulla della nebbia. Oggi invece si vedeva bene, si vedeva tutto. Anche quello che sarebbe meglio non vedere, ad esempio la fila di formichine che arrancano in verticale sul Madonnino, proprio come toccherà fare a te. Bello il Madonnino: ricordo grandi merende sulla sua vetta, guardando la Val Seriana comodamente seduti sugli sci. Ma dal Calvi le cose sono assai meno comode.
Parravicini col sole significa caldo, maniche tirate su, arsura, desideri incontrollabili di birre ghiacciate.
Tifosi saliti fin qui dalla valle di qua e da quella di là affollano i passaggi chiave, li vedi stagliarsi contro il cielo, in alto, al Portula, al Portulino, chiamano il tuo nome, ma quando li raggiungi è già ora di scendere. Discese divertenti su quella neve che solo la primavera può creare, canale nord del Cabianca ancora mezzo polveroso, sparate a uovo nei piani rischiando di esplodere nelle compressioni. Salite che non finiscono più, non per la lunghezza ma per il numero. Il Parravicini in effetti è una gara nervosa, e io non sono molto fresca. Certo forse era meglio riposare ieri, oppure basta solo calare un po’: come sempre fatico a ingranare, il povero socio odierno Paolo B riceve molteplici insulti ma sopporta con pazienza, forse perché è un socio speciale.
Mentre ci arrampichiamo chissà dove, a quattro zampe su erba e rocce, sento dalla radio di uno del soccorso che Lanfra e socio sono arrivati al traguardo. Guardo su e non capisco dove dobbiamo andare, ma prima o poi tutto passa: e appena dietro di noi, un po’ sofferente forse per crampi, c’è Oscar Negroni che di Parravicini ne ha fatti trenta. Io nel mio piccolo ne ho fatti quattro, e finito questo saranno cinque: manca ancora tanto per arrivare a trenta, ma appare evidente che la prima cosa da fare è mettere un piede davanti all’altro e arrivare alla prossima piazzola. Poi si vedrà.
Penultima discesa, penultimo cambio, ora la neve è umida e lenta: appena sotto il rifugio, sci nello zaino e di corsa sulla terrazza e poi via sotto l’arco rosso dell’arrivo. Un sacco di gente. Si tira il fiato. Poco dopo arriva Oscar e taglia il traguardo stappando un bottiglione di prosecco tra il boato della folla, e poi via con i brindisi in diretta.
Il Madonnino luminoso di sole, fonte di lunga sofferenza, ci guarda, indomito. Voglia irrefrenabile di tornare su, magari con più calma.
Ecco, ora il pensiero insistente della conca del Calvi innevata mi perseguiterà per tutta la settimana. Ci si potrebbe piantare una tenda. Trasferirsi. Come sarà stata la neve stamattina? Quanto durerà? Calma, un passo dopo l’altro.





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