![]() |
Start time 6 AM. |
Nel mezzo, poco meno di sette ore di fatica: molto vento, neve sbattuta in faccia, canalini ghiacciati, ramponi che grattano sul granito, corde gelate a cui attaccarsi con le mani che diventano fredde sotto i guanti. Ma poi, passata la metà gara, alzando lo sguardo dalla traccia perfettamente diritta, ecco il Pian di Neve immenso e bianchissimo aprirsi in uno squarcio di sole, mentre l’Adamello appare e scompare immerso nella bufera.
Bello, bellissimo: e per un tempo indefinito le pelli scorrono talmente bene sulla pendenza comoda che lo sci non mi sembra più un’invenzione umana ma un naturale prolungamento delle gambe e dei piedi, l’unico modo possibile e logico per muoversi in questo strano luogo, candido e vastissimo.
Poi il cielo si richiude. Bufera e nebbia. Passo degli Italiani, scale, corde che si perdono nel bianco, equilibrio instabile, poi si rimettono gli sci e giù nel nulla seguendo le paline.
Altro squarcio: giù a uovo verso l’ultima piazzola, là in alto c’è Passo Venezia.
La socia Maddalena Mognetti sente il traguardo farsi vicino e riprende vita, mentre io arranco pensando a quanto vorrei avere nello stomaco un panino e una birra invece di due datteri e un gel. Saliamo e c’è già qualche concorrente fermo, accasciato sui bastoni. Lo imito, mi fermo un attimo e sorrido in un ghigno di stanchezza. Alè! La cima è là e aspetta noi, ci chiamano e ci incitano, ancora un passo. Al Venezia non è finita, altra salitella per scollinare verso il Pisganino: ancora a uovo nel nulla e poi ecco molte formiche salire ordinate verso l’ultimissima fatica di giornata. Cortissima e lunghissima nello stesso tempo. Nevica. Non si vede nulla. Si scollina con gli sci in mano attaccati all’ennesima corda. Su gli sci, giù le pelli, discesa, l’ultima, finalmente un minimo di relax quando la visibilità migliora.
La socia va dritta mentre io, come dice lei, mi perdo a fare un po’ di curve: neve bella poi neve dura, canalino ripido con gobbe, divertente, prendiamo due concorrenti e poi altri due, poi una coppia femminile: è la fine, perché significa che finita la neve, dovremo davvero correre come Forrest per non farci prendere.
Ruscello, boschetto rado con rami, sassi e pozze azzurrine.
A circa duemila metri di quota la striscia di neve finisce all’improvviso. Sci nello zaino, giù di corsa. Neve, sassi, fanghiglia. Mio papà tifoso a bordo stradina ci saluta e ci vede sparire. Sentierino nel bosco morbido di aghi. Divertente. Quanto manca? Arriva qualcuno dietro? Superiamo altri concorrenti. Da una radura si intravede il paese: lontano. Gambe di legno. Ma se caliamo ci prendono! Altra radura, neve, altri tifosi, fango, arbusti, non può mancare tanto eppure…dopo un tempo lunghissimo e molte preghiere alla socia podista per farla rallentare, ecco apparire la striscia di neve della pista. Momento di sollievo relativo, a uovo nella neve marcia. Dura poco, neve finita, di nuovo di corsa sulla ciclabile con gli scarponi che sbattono ovunque e gli sci che sballonzolano nello zaino. Ponticello in legno che avevo guardato molti mesi fa pensando a questo momento. I momenti poi arrivano sempre, a ognuno il suo. Curva a sinistra ed eccoci: arco del traguardo rosso come quello della partenza di questa mattina. La corsa è finita e le gambe pure.
L’Adamello è un posto speciale, e quello che penso rispetto a una gara come questa potete leggerlo nel mio articolo appena uscito su Orobie di aprile, specialmente nell’ultima parte.
Per tutto il resto…grande giornata, grande socia, grande soddisfazione e grandissimo mal di gambe!
Commenti
Posta un commento