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Valcanale, 20 anni dopo



Valcanale, 1997. Anni di neve e sci dritti, tute sgargianti e colori fluo, parcheggi pieni e seggiovie monoposto, quelle con la sbarra e le gambe penzoloni. Valcanale, 1997, marzo: piccola Carlotta di anni 9 alle prime vere gare di sci con il papà: prime sveglie all’alba e colazioni con l’uovo sbattuto, e poi via in montagna, al bar a prendere il numero, in coda alla seggiovia, sci che schiacciano altri sci, ed ecco apparire dall’alto la pista tracciata (com’è liscia ancora!), e poi ricognizione, un po’ di paura, sonno, gambe strane. Ma il papà è sempre qui, sempre dietro, a vedere se hai freddo alle mani, se vuoi il cioccolato, se devi fare pipì.
Poi c’è stata quella volta che proprio non volevo scendere. Tutti quelli davanti a me erano partiti: vieni mi dicono, tocca a te, ma io proprio non ci volevo entrare nel gabbiotto di partenza, e fuori era tutto un saltellare di bambinetti senza sci e allenatori, e le porte stavano rosse e blu nell’ombra azzurra della mattina invernale, e allora il cronometrista è uscito dal gabbiotto e ha detto “Dai che all’arrivo ci sono le torte”. Il papà sembrava arrabbiato ma non lo dava a vedere, io guardavo i pali colorati e la valle lontana, e tutti si aspettavano qualcosa da me, c’era solo da entrare in quel gabbiotto, un attimo di buio e poi di nuovo fuori, sola sulla pista liscia e tutta per me.

Valcanale, 2017. Gli impianti sono chiusi da vent’anni. La natura ha avuto tempo di riprendersi i suoi spazi. Piloni, resti della seggiovia, casette crollate, il vecchio albergo delle premiazioni, sono scheletri vuoti e silenziosi che la vegetazione abbraccia e trascina verso di sé.
2017, un’altra gara. Cambia la direzione degli sci, ma sempre di sci si tratta. L’avresti mai detto? Molta acqua passa sotto i ponti, molte conquiste, molte delusioni, molte svolte si avvicendano.
Ma la neve è stato il primo amore che non si scorda mai. Chi è stato? È stato il papà, con molta pazienza e lunghi anni per cercare di farmi amare la montagna, la neve, lo sci. Senza mai essere invadente, in punta di piedi.
“Vado a vederti a metà!” mi diceva alle gare di discesa, lasciandomi saltellante, in una tutina troppo grande, in attesa del mio turno. Oggi invece sbuca da qualche parte a bordo traccia, alla partenza, in una piazzola sperduta, all’arrivo. Non fa tanto casino, non si fa notare, perché ha il terrore che io, come facevo da bambina, mi arrabbi per tutta quella attenzione non richiesta.
E così domenica scorsa, in una svogliata giornata di primavera, mentre cercavo di convincermi a fare almeno un po’ di fatica in più, mi sono ricordata di quel giorno del ’97 in cui proprio non avevo voglia di uscire dal cancelletto: ma il papà era a metà, era lì a vedermi e aspettava me,
e tanti, tantissimi giorni sulla neve si sarebbero susseguiti da quel giorno lontano, e neanche potevo immaginare quanto quel primo amore si sarebbe allargato a dismisura diventando passione totale e assoluta.
Bastava solo farsi coraggio, e uscire dal gabbiotto.
La pista era chiara, liscia, invitante.
Allora sono partita.




2017, Mezzalama


2017, ValcanUp.
1997, prime gare CSI.



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