Ieri ho fatto una cima nuova.
Si chiama Rutor. Eravamo io, la mia socia e altri 800 amici.
In cima c’è una madonnina. Anzi una statua bella grossa, bianca e girata verso la Val d’Aosta.
Qualcuno degli 800 l’ha sicuramente vista ancora prima di arrivare in cima, la madonna, durante la salita a piedi con la corda in mano e gli sci che sbattono contro il casco. Alcuni giurano di aver visto madonne e santi anche dove non c’erano.
In cima al Rutor c’è un bel panorama: sarebbe stato bello fare un pic nic, oppure una foto ricordo, ma il vento era proprio troppo forte. Sulla sinistra appare improvvisamente il ghiacciaio: è bianco e striato come un grande mare, e sopra si scorgono alcune persone che camminano in fila, piccolissime e scure in mezzo al bianco. Loro fanno una gita, un po’ come noi.
Nello zaino avranno un panino e una birretta. Nel mio zaino oggi ci sono solo pantavento e giacca e una bottiglietta d’acqua vuota. Sete inesauribile e la valle laggiù lontanissima, dopo duemila metri di discesa. Discesa tranquilla aspettando la socia. Intorno, sfavillanti come vestiti a festa, i profili di Cervino, Rosa e dall’altra parte, Gran Paradiso. In basso, vertiginosamente in basso rispetto a noi, il fondovalle e la diga che abbiamo attraversato di corsa stamattina, che attende di essere attraversata di nuovo, stavolta in senso inverso.
Pensieri a raffica (tutti positivi ora che c’è solo da scendere) e felicità che si avvicina.
Giorno uno andato.

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