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Vento in faccia






Il vento in bicicletta: la salita invisibile. Sembra di combattere una battaglia che gli altri ignorano, che solo io comprendo. Quelli che incontro pedalano sciolti, il loro viso non porta tracce di sofferenza. Eccole le strade calde della Toscana, e di tutto il sud Italia: un asfalto liscio, lucidato dalla calura estiva, solcato da gobbe e irregolarità che non hanno la durezza delle nostre: quelle che da noi sono crepe qui hanno un aspetto morbido e denso. L'Aurelia se ne va così, ampia, chiara, diritta: ai lati scorrono pini marittimi contorti, di anno in anno sempre uguali a se stessi. Erba alta e seccata dal sole, spighe mosse dal vento, oleandri invadenti si sporgono sulla carreggiata, mi arrivano quasi in faccia, colorati, veloci. Ogni tanto le case rosse dell'ANAS compaiono e scompaiono nell'ombra, e intorno il rumore del vento e delle cicale. Se lasci l'Aurelia, tentando di fuggire il vento e non riuscendoci mai, appaiono le stradine che vanno nell'entroterra. Hanno nomi curiosi e sono perfettamente diritte. Il vento non si cura della loro geometria. Effettuano svolte che sembrano tracciate dalla matita sulla mappa, e l’aria che prima era laterale finisce dritta contro. Quanto manca, alla prossima svolta? Non la vedo, la strada si perde in onde di calore verso un orizzonte tremolante in cui una casa bianca sembra sospesa a mezz'aria, e alcune serre appaiono come bolle fluttuanti. Non c’è anima viva. Ci sarà, laggiù, un po' d'acqua?
Da qualche parte a ovest di qui c'è il mare, e la spiaggia piena di grida di bambini, palloni, crema solare, e qualcuno che a riva gioca tra gli spruzzi.
È vicino, è laggiù, uno sfondo silenzioso e blu che si confonde con il cielo; l'aria porta odore di sale, ma qui non giunge alcuna voce.
Pedalo con furia rassegnata. A destra e a sinistra campi a perdita d'occhio, dove piante di melone stanno in file ordinate, con i frutti tondi e invitanti adagiati nel sole, sulla terra secca. Il loro profumo è intenso, preciso, dolciastro nell'aria calda della campagna.
Li guardo passare rapidi, ma non troppo, sembra che manchi ancora così tanto alla fine della strada! eppure la casa bianca è là, nell'afa, sotto un cielo chiaro, e mi attende. Tutte le volte che pensavo di non arrivare mai, poi mi sono ritrovata di nuovo a casa, di nuovo salva, di nuovo seduta con gli occhi semichiusi nel sole del pomeriggio, con le gambe allungate sotto il tavolo e una birra in mano; e dalla finestra aperta sulla spiaggia poco lontana, voci di bimbi troppo piccoli per capire, e altre voci che di tutta questa fatica non sanno nulla.
Eppure, sulla strada, la battaglia contro il vento sembra non finire mai.
Campi di carciofi alla mia sinistra. Piante dalle enormi foglie verde scuro a destra: forse tabacco.

E poi, in mezzo ai meloni, eccoli: in una nuvola polverosa, ragazzi neri si affaccendano attorno a un trattore.
Della mia personale lotta contro il vento su una bicicletta non si accorgono.
Ognuno, del resto, ha da pensare alle sue, di magagne.
Nemmeno mi vedono, credo.
Hanno abiti scoloriti dal sole, cappellini un po' sudici sotto i quali non si riconoscono bene i lineamenti. Solo il bianco degli occhi risalta, quando capita di incrociare uno sguardo.
Ma non capita spesso, perché loro guardano a terra i meloni, li scelgono, li mettono nelle ceste.
Meglio così, no? Se scoprissi dei bei volti giovani e forti, dei bei sorrisi, non farebbe un po' più male dover ammettere la distanza che ci separa?
Non sarebbe un po' più difficile tastare i meloni nel fresco del banco frutta al supermercato, tastarli e sentirne il profumo per capire se saranno dolci, e buoni da mangiare col prosciutto? Non ci verrà, poi, da pensare a questa strada diritta e controvento nel mezzogiorno di fuoco, quando case e serre e poderi fluttuavano nella calura, mentre il mare era a due passi eppure maledettamente lontano, precluso?
Il prezzo dei pomodori, il prezzo dei meloni, le enormi ceste riempite a mano, mani e corpi sotto il sole, nella polvere della terra arsa: non sarà chiaro, evidente, ovvio che la nostra felicità da quattro soldi è una costruzione arbitraria di cui ignoriamo moltissimi mattoncini, e che però ogni mattoncino pesa, e fa male?
La sofferenza che sta dietro ogni cosa, l’assurda iniquità di uno scambio, non apparirà all’improvviso evidente e insopportabile proprio come il vento?
Li guardo, passano, non li vedo più. Vorrei fare qualcosa. Invece posso solo continuare a pedalare.
Quanto è lontano, da questo campo, il mare?





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